Atiq Rahimi

ANGOSCIA E SPERANZA TRA MEMORIA E TEMPO PRESENTE NEL BEL ROMANZO DELLO SCRITTORE AFGHANO ATIQ RAHIMI
Di.Valentina A. Mmaka
Terra e cenere è la storia di un’attesa, di un viaggio, di una rivelazione. E’ l’attesa del tempo che passa: “Non sei che tu ti muovi, è la vita che si muove. Sei condannato a restar fermo ad assistere al passaggio della vita.” Sul ciglio di una strada deserta, un vecchio, Dastghìr e suo nipote, Yassìn aspettano il passaggio di un camion in un’atmosfera dove spazio e tempo sembrano essersi fermati. Il tempo immobile è dilatato a tratti “dalle immagini e dai sogni che hai visto, ma che non volevi vedere … o di ciò che devi vedere, ma che non vuoi vedere…”.

Il viaggio è quello che porterà nonno e nipote alla miniera dove lavora Moràd, il figlio del primo e il padre del secondo. La rivelazione è quella della perdita. Il vecchio e il bambino vanno a recare la notizia della perdita della loro famiglia, madre, moglie, fratelli, vittime di un bombardamento nel loro villaggio ad opera dei russi

Siamo in Afghanistan durante l’occupazione sovietica. Il paesaggio è quello roccioso, desolato, grigio, polveroso di una terra aspra e difficile. Uno scenario statico, lunare dove gli stati d’animo dei personaggi prendono forma in tutta la loro irrequietezza, angoscia, vergogna, dolore. Sì, il dolore di aver perso una famiglia di Dastghìr, il dolore per una infanzia negata, quella di Yassìn, il dolore di Moràd che sopravvive alla lacerazione della perdita.

Ad interrompere l’immobilità del presente è la memoria che dilata gli spazi. Ad un certo punto Dastghìr ritorna al tempo presente, dopo aver “viaggiato nella sua infanzia a quando suo zio gli leggeva la Shahnamèh” e vede il mondo attorno a lui ridiventare piccolo.

Dastghìr vorrebbe dormire, vorrebbe non ricordare, vorrebbe non sognare, vorrebbe avere il sonno di un bambino: “No, non come Yassìn. Come un altro bambino. Come un neonato.Un sonno senza immagini, senza memoria, senza fantasia.”. Perché Yassìn ha visto la guerra, perché la guerra lo ha privato dei suoi affetti, lo ha reso mutilo nell’udito, lo ha rapito dalla sua infanzia, ed è così che i sonni di Yassìn non sono diversi da quelli del vecchio nonno.

La guerra ha reso sordo il piccolo Yassìn. Di questa mutilazione non sa darsi spiegazione altra che quella di un mondo al quale i carri armati hanno tolto la voce: “i russi sono venuti a togliere la voce a tutti.”. E così l’innocente pensiero del bambino che crede il mondo intero muto al suo udito spezzato, si scontra con l’angoscia del vecchio nonno:”mi sembra di parlare con le pietre. Ho il cuore a pezzi. Le parole non ascoltate non sono parole: sono lacrime…”

Attorno a questi tre personaggi verte la storia di un unico grande dolore, quello che scaturisce dalla guerra “dove il potere diventa la fede anziché la fede il potere” e così il vecchio Dastghìr si interroga sui misteri del dolore che si insinua prepotentemente nella mente senza che alcunché possa fermarlo: “il dolore o si trasforma in lacrime e scende giù dagli occhi o diventa spada e ti arriva sulla lingua. Oppure talvolta si trasforma in una bomba all’interno del tuo core, una bomba che un bel giorno ti fa esplodere…” Dastghìr non conosce ancora la natura del suo dolore e rivolgendosi a se stesso: “Il tuo dolore non ha ancora preso corpo. Non ne ha avuto il tempo. Oh! Se il dolore si potesse calmare, prima ancora che prenda forma….”.

Dastghìr, Moràd, Yassìn, tre nomi, tre volti, tre identità, tre generazioni: il passato e il futuro vanno incontro al presente. Dastghìr, il passato di un Afghanistan distrutto dall’occupazione sovietica, Moràd il presente ferito e sopraffatto dalla impossibilità di non aver potuto fare niente per salvare la sua famiglia dal nemico, e Yassìn, il futuro di un paese che cerca una nuova vita, un futuro mutilo (la sordità di Yassìn) ma che costituisce comunque l’unica speranza possibile, una speranza in cui credere.

Terra e cenere, è lo sguardo lucido e tragico sull’ atrocità della guerra. Lo stile di Atiq Rahimi è uno stile asciutto, essenziale, dove “il non detto” risale alla superficie delle parole gravandole del loro peso morale. Scritto in seconda persona, come se a raccontare la storia fosse una coscienza esterna, suprema che interpreta e capisce la desolazione interiore dei personaggi, alterna dialoghi e pause dove la memoria interna interrompe il ritmo lento del tempo presente. Scritto con pudore senza mediazioni, a tratti con slancio poetico, Terra e cenere è un invito a tenere desta la memoria perché il passato serva a costruire un futuro senza perdite, senza dolore, senza guerre, senza oblio. Gli occhi di Yassìn che guarda dal basso della sua piccola età il mondo degli adulti, restano impressi nel nostro immaginario e ogni volta che sentiremo parlare di una guerra torneranno ad accendere la nostra memoria e riflettere lo sconcerto di un bambino che ha perso l’infanzia e non tornerà più… ma che ha il coraggio di sperare e di far sperare.



Valentina A. Mmaka

Alice.it 2002