Forugh Farrokhzad
È solo la voce che resta
Canti di donna nel Novecento persiano.
Aliberti editore
a cura di Faezeh Mardani

«Noi abbiamo perduto
tutto ciò che potevamo perdere
noi, ci siamo messi in cammino, senza lume,
e la luna,


l’affabile femmina, luna,
era sempre lì
nei ricordi infantili di un tetto di argilla
e sui campi verdi
impauriti dall’assalto delle cavallette
Quanto bisogna pagare?…»

Questo lavoro va in stampa mentre per le strade di Tehran, le donne, cresciute con la poesia di Farrokhzâd, muoiono davanti agli occhi di tutto il mondo. È dalla seconda metà dell’ottocento che le donne iraniane, attraverso la poesia e la parola, testimoniano la loro condizione, lottano per i loro diritti, e quando è necessario, offrono la vita per i loro ideali. La storia continua e si ripete.
Ancora oggi le impavide donne iraniane con la loro presenza e con la loro voce proibita raccontano al mondo la tormentata storia della loro terra.

È sempre la voce che resta…

«L’Io passionale della poetessa, la sua determinazione a non rinunciare alla propria identità femminile, domina la scena e, in modo implicito, diviene stimolo al coraggio delle giovani donne, mosse a far nascere una nuova consapevolezza, capace di sconvolgere le convinzioni religiose e morali radicate da secoli nella realtà sociale iraniana».

Faezeh Mardani, traduttrice e curatrice del testo


...perché devo fermarmi?
La complicità delle lettere di piombo è sterile
la complicità delle lettere di piombo non salverà il misero pensare.
Io sono della stirpe degli alberi
mi turba respirare l’aria infetta
mi consigliò un uccello morto
di non dimenticare il volo
Il fine di tutte le forze è giungere,
giungere all’origine luminosa del sole
e calare nella percezione della luce.

È ̀naturale
che i mulini a vento marciscano
Perché devo fermarmi?
Prendo le acerbe spighe di grano al petto
e le allatto


La voce, la voce, solo la voce,
la voce del limpido desiderio di fluire dell’acqua
la voce del scendere della luce stellare
sulla superficie femminea della terra
la voce del concepimento del seme del senso
e l’estensione del pensiero condiviso dell’amore.
La voce, la voce, la voce,
e ̀solo la voce che resta.

Perchè devo fermarmi?

Forugh Farrokhzad nasce a Teheran nel 1934 da una madre casalinga e un padre militare. Inizia a comporre poesie da giovanissima e a sedici anni si sposa con un disegnatore e caricaturista. Dopo soli tre anni è costretta a una difficile scelta tra la famiglia e la poesia. La vita matrimoniale dell’autrice non permette lo sviluppo delle sue capacità artistiche ed esige, in accordo con le convenzioni culturali della società iraniana, una totale dedizione al marito e alla famiglia. Farrokhzâd, dopo tre anni dal matrimonio, si trova a dover dolorosamente scegliere tra la poesia e la vita familiare.
Mentre la poesia ufficiale, banale e mal riuscita imitazione della poesia romantica europea in metrica classica, piena dei lamenti del cuore e di lacrime d’amore, riempie le pagine delle riviste letterarie e il golpe del 1953 determina i destini politici del Paese, Forugh Farrokhzâd, ancora troppo giovane e inesperta poetessa che segue la strada aperta da Nimâ Yushij, diventa la voce audace della ribellione femminile.
Non è chiaro se la scelta che fece fu davvero consapevole oppure fu una necessità che andava ben oltre la sua volontà. Forugh è travolta dall’impeto della poesia, che richiede tutta la sua attenzione, e non può che metterla al centro della sua vita.
Dopo il divorzio, per la legge e per le convinzioni religiose e culturali dominanti, non è più ritenuta adeguata a esercitare il ruolo di madre e per il resto della sua vita non potrà più vedere il figlio.
Forugh Farrokhzâd pubblica nel 1955, appena ventenne, la prima raccolta di poesie Asir (Prigioniera). I versi di questo volume annunciano la nascita di una scrittura femminile spregiudicata, che racconta le esperienze intime della sfera sentimentale, emotiva ed erotica di una giovane donna, tesa ad affrontare i severi e spietati giudizi morali e religiosi della società in cui vive. È̀ difficile credere che l’autrice fosse cosciente di quello a cui andava incontro o che abbia agito ispirata da una consapevole coscienza civile e ideologica.
Il suo particolare interesse per le arti visive, la pittura e il cinema, la conduce a un importante incontro d’amore e di creatività. Il noto scrittore e regista Ebrâhim Golestân diventa il personaggio che contribuisce ai rapidi cambiamenti artistici nella vita della poetessa. Inizia la sua attività cinematografica come montatrice, attrice, sceneggiatrice e regista. Nel 1962 realizza un duro,coraggioso,e nello stesso tempo poetico, documentario sulla vita di un gruppo di lebbrosi rinchiusi in una casa di cura a Tabriz, che ottiene il primo premio al Festival di Oberhausen. Nel 1964 partecipa, in veste di attrice, alla messa in scena di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello.
Nello stesso anno pubblica la sua più importante opera poetica, Tavallodi digar (“Un’altra nascita”). Nel 1965 l’Unesco realizza due cortometraggi sulla sua vita.
Considerata la più grande poetessa iraniana contemporanea, la sua opera è stata più volte candidata al Nobel per la letteratura.
La poetessa muore a trentadue anni in un incidente stradale.

Faezeh Mardani, nata a Tehran, insegna Lingua Persiana e Storia contemporanea dell’Iran all’Università di Bologna. Traduttrice e interprete, ha pubblicato il Vocabolario Persiano-Italiano-Persiano (Milano, 2000) e Io parlo persiano (Milano, 2002) presso la casa editrice Vallardi. Le sue poesie sono uscite in diverse antologie. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste specialistiche riguardo alla poesia e alla cultura persiana. Vive a Reggio Emilia.

«La poesia persiana contemporanea nasce da una forte cesura con la grande tradizione classica, cesura che si crea a partire dagli anni Venti del secolo appena trascorso attraverso l’abbandono della prosodia classica a favore del verso libero e, soprattutto, attraverso la scoperta e l’assimilazione di correnti di pensiero, manifesti estetici e movimenti artistici europei: simbolismo, socialismo, esistenzialismo... I “nuovi poeti”si rifiutano di ripetere l’eterna canzone degli amori della rosa e dell’usignuolo, vera immagine-emblema di tutta la tradizione classica. Si comincia a parlare di rivoluzione e di temi sociali, sull’onda dell’emozione e delle speranze suscitati dalla rivoluzione d’Ottobre in un Iran che entrava allora nell’epoca della dinastia dei Pahlavi e si continua a parlare, ovviamente, anche dei temi più consueti come l’amore e la morte, sia pure rivisitati alla luce di una nuova sensibilità, più personale, intimistica, esistenzialista, pessimista... (...)
In Forugh l’ansia moderna e individualista di vivere la propria vita come un unicum e di cogliere senza remore le gioie più belle dell’amore, si coniuga con l’acuta, “antica” consapevolezza della provvisorietà, con l’angoscia della mortale caducità del tutto, con il sospetto di una grande menzogna che incombe e ci inganna, che può persino disumanizzare lo sguardo.(...)
Un esito nel senso del carpe diem di Khayyâm è precluso a Forugh, non tanto dalla sua condizione femminile in una società – quella iranica del secondo dopoguerra – certamente più libera dell’attuale ma comunque sempre severa con le donne e limitativa delle loro libertà individuali; le è precluso piuttosto da un’ansia radicale e indefettibile di verità,di “autenticità”a tutti i costi,da una sete di ricerca intrinsecamente “filosofica”, che la portano a ricercare il Vero prima ancora che la gioia, che la spingono a indagare il mistero dell’esistenza prima che a ricercare facili consolazioni. La consolazione, se mai arriva, è proprio in questa stessa ricerca, che è poetica ed esistenziale e insieme, ricerca radicale capace di “com-muovere”ancora le intelligenze e i cuori dei lettori».

dalla Presentazione di Carlo Saccone, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Università di Bologna





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