“Nadia Anjuman - Poesie scelte – a cura di Pirooz Ebrahimi e Cristina Contilli – Introduzione di Cristina Contilli - Carta e Penna Editore”, recensione di Mariateresa Biasion Martinelli (poetessa e collaboratrice della rivista letteraria torinese "Il salotto degli autori")

Scindere la vicenda umana di Nadia Anjuman da quella letteraria risulta impossibile, in quanto, lo svolgersi dell’una è intrecciata interamente all’evolversi dell’altra e viceversa, fino al tragico epilogo.
Così, come non è possibile leggere i suoi versi, senza pensare che, per dar loro voce, la poetessa afghana ha sacrificato la propria esistenza, strappatale, in modo brutale, da colui che avrebbe dovuto essere il compagno amorevole della sua vita: suo marito.
Nell’introduzione al volume: “Nadia Anjuman – Poesie scelte”, la curatrice, Cristina Contilli, spiega, dettagliatamente, come è giunta alla decisione di pubblicare i versi della poetessa, riuscendo, così, a far conoscere la profondità delle liriche di Nadia, evitando, inoltre, che il suo ricordo ed il suo messaggio si perdessero nelle nebbie del tempo, vanificando il sacrificio di una donna coraggiosa.


Leggendo le poesie della Anjuman, si comprende come sentisse su di sé il peso dell’oppressione e la mancanza di ogni forma espressiva, proibita dal regime del suo paese.
Nella lirica: “QUANDO”, Nadia esprime tutto il proprio coraggio, superando un’apparente, dichiarata, fragilità, poiché: “quando sei triste dal profondo del cuore, divento forte al raffreddarsi di ogni preoccupazione”.
Ricorrono, nei suoi versi, le espressioni: “aprire le labbra” e “aprire la mia bocca”, nella consapevole amarezza del tentativo, perpetrato da uomini poco illuminati, di soffocare ogni grido di protesta e di disperazione, di ogni donna afghana.
Ma Nadia non tace, anzi, invita “le ragazze isolate... condottiere silenziose, sconosciute alla gente..., sulle cui labbra è morto il sorriso...” a parlare se, fra i rimpianti, ritroveranno proprio quel sorriso, all’apparenza, perduto per sempre.
Tale è la sua angoscia, che, nella poesia: “NESSUN DESIDERIO DI APRIRE LA MIA BOCCA”, nella parte introduttiva, si scorge quasi una resa, di fronte “alla forzata solitudine, al diletto dell’oppressore nel battere quella bocca, nel tarpare le sue ali”, ma, ecco che tutta la sua apparente rassegnazione (“Non c’è nessuna differenza tra cantare e non cantare, tra morire ed esistere” – afferma), esplode, nella consapevolezza che il suo cuore, la sorgente del suo sentire, del suo parlare, è ancora vivo, e che è giunto il momento di celebrare, di prepararsi a rompere le sbarre della gabbia, dove vorrebbero imprigionare, non soltanto il suo corpo, ma anche la sua voce, poiché “lei non è un debole pioppo, ma una donna afghana, la cui sensibilità vuole esprimersi in un lamento”, che è il lamento di tutte le donne del suo paese, oppresse, calpestate, uccise, ma non sconfitte.
Ed ancora ne: “IL FIORE AFFUMICATO”, in una continua antitesi, fra il suo sentire , libero da condizionamenti ed il suo esistere, schiacciato dall’oppressione, “l’animo si riempie del suo essere vuoto, come l’abbondanza di una carestia”, mentre, “dal suo quaderno di poesie, prende vita il ritratto di carta e scaturisce un fiore impareggiabile, venato di fumo, ma colorato e profumato”: nonostante i divieti, le proibizioni, l’oscurantismo, la poesia riesce a fuggire da quelle pagine, per diventare messaggio universale di libertà.
E prevale ancora la tristezza, nelle liriche: “LA PIU’ PALLIDA” e “LACERAZIONE”, dove la poetessa scrive: “Lasciala morire non letta e sconosciuta / questa maledetta parola, non può diventare traducibile”, ed ancora: “Il disastro crudele della tempesta / ha colto il tuo fiore di esperienza e / ti sei spezzato invece di sbocciare”, ma, nonostante queste sconfortate e sconfortanti affermazioni, Nadia non ha taciuto ed è morta per poter “gridare” quella parola, tante volte da lei invocata, persino maledetta, in nome di tutte le donne di Herat, sua città natale e dell’Afghanistan, la sua patria.
E: “L’URLO SENZA SUONO”, delle “ragazze doloranti, umiliate, dai cuori vecchi ed incrinati, senza più gioia, senza lacrime” possa arrivare “fino alle nuvole” e trasformarsi in pioggia che lavi tanto dolore, come auspicato da Nadia Anjuman, dapprima spenta alla vita sociale, a causa di un silenzio impostole, poi spenta fisicamente, per aver cercato di risorgere dalla morte dell’intelletto, attraverso la poesia ed ora, viva più che mai, nei suoi versi, fino a quando essi verranno tradotti e pubblicati, quindi portati a conoscenza di tutti, perché non si può e non si deve dimenticare e l’uomo ha l’obbligo di riappropriarsi, finalmente, della memoria, per non ripetere i propri errori, mai più!
Ed è questa l’importanza e lo scopo primario che riveste la raccolta, a cura di Pirooz Ebrahimi e Cristina Contilli, delle opere di una grande poetessa e, soprattutto, di una grande donna, morta ad Herat, a 25 anni, per amore della letteratura e per mano di colui che avrebbero dovuto donarle amore e protezione.


Mariateresa Biasion Martinelli