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La strage dei fiori
di Forugh Farrokhzad
Traduzione italiana di Domenico Ingenito
Parliamo d’Iran, e parliamo della poesia che accende da lato a lato questa terra.
Gettiamo in acqua i tappeti volanti della Persia, nel fuoco il timore di una minaccia dall’Asse del Male, al vento la Tehran radical chic.


Iran, nel tempo terra di disastri, certamente, ma nel disastro sono intere costellazioni d’astri a crollare al suolo per illuminare la terra. Iran è il sacro, è la pietra, è il nero, è porta sfondata, è oro e catrame, è denti bianchissimi. È luogo dove piangere non comporta vergogna.

Tutto questo attraversa Forugh Farrokhzad, la Poetessa del Novecento persiano, morta giovanissima nel 1967. La sua poesia raccoglie il rosso vivo della sua terra, uno ad uno i papaveri bruciati nel bacio di chi desidera, nelle mani sotterrate dalla neve, senza sosta. Femmina che mostra lo sguardo sul corpo maschile, che tocca i confini della sua cultura senza negarli, senza rivendicare altra cosa che il vino sul petto dell’amato. Ed è donna e maschio, quando nel canto semplice espone la bellezza degli oggetti nella loro purezza, dove mondo è giardino e i corpi sono fiori, e dove, poco a poco, comprendiamo qualcosa dell’incontro, degli sterminati fiori.

Domenico Ingenito, nato a Castellammare di Stabia (Na) nel 1982, è attualmente iscritto al dottorato di ricerca in Turchia, Iran, Asia Centrale presso l’istituto universitario L’Orientale di Napoli. Si occupa principalmente di poesia persiana del periodo classico, letterature comparate, teoria e prassi della traduzione e rappresentazione fotografica. In Iran e in Portogallo si concentrano le sue principali passioni.

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