Un rossetto per il mullah
Nata in California da genitori persiani, Azadeh Moaveni racconta la rivoluzione più sexy del pianeta. Quella condotta lentamente dalle ragazze di Teheran
di Riccardo Staglianò
fonte.Internet


Il sorriso a trentadue denti sulla foto del passaporto la denunciava ogni giorno come straniera. I tratti erano quelli di una bella ragazza persiana, ma il sorriso, quello rivelava la sua nascita californiana. Quando arrivò a Teheran, sul finire del '99, Azadeh Moaveni era l'invidia dei suoi amici: "Ridi troppo", le dicevano, ricordandole che in Iran avrebbe dovuto portare una maschera, come tutti, perché comportarsi come davvero si era esponeva a troppi problemi. E questa società che vive "come se" è ciò che la giovane giornalista di Time racconterà dei suoi quasi tre anni iraniani: "come se" fosse invece permesso "esprimere le proprie opinioni, sfidare l'autorità, portare un rossetto eccessivo". Finzione indispensabile di cui le donne, soprattutto, sono protagoniste in un quotidiano "lento, deliberato, diffuso atto di sfida: una jihad, nell'accezione classica di lotta", scrive Moaveni. A 23 anni, la ragazza nata a Palo Alto in una comunità di espatriati arriva in un Iran vagheggiato che sembra a un punto di svolta. Il moderato Mohammad Khatami, da poco al potere, pare in grado di allentare la morsa asfissiante dei mullah. Gli studenti scendono in piazza, i veli coprono sempre meno, i ragazzi scoprono il sesso e le anziane signore spiano il mondo attraverso il buco della serratura delle antenne satellitari, ufficialmente proibite. Ma sotto le scudisciate dei guardiani dell'ortodossia, la rivoluzione privata fatica a trasformarsi in movimento pubblico. Il colpo di grazia arriva nel 2002, quando George Bush indica il Paese come capobastone dell'"asse del male". A quel punto per Moaveni, come per tutti, l'aria diventa irrespirabile: controlli e intimidazioni si moltiplicano, la censura vuole leggere in anticipo ciò che scrive. È allora che va in Iraq, dove seguirà la guerra per il Los Angeles Times. Oggi, impegnata nella promozione di Lipstick Jihad (pubblicato da PublicAffairs), Moaveni ci risponde dalla sua stanza d'albergo di Wa-shington. Ci spiega come si esprime la "jihad del rossetto"? "I protagonisti sono i giovani iraniani che alla fine degli anni '90 hanno cominciato a cambiare attitudini in aperta sfida ai mullah. Andavano alle feste, consumavano droghe leggere in pubblico, sono diventati sempre più aggressivi nei confronti del regime. Le donne, in particolare, hanno incarnato la nuova tendenza, facendo entrare il colore nella loro vita, nei loro vestiti, e non si tratta di un cambiamento da poco. Ogni settimana, ogni mese, i toni si facevano più brillanti e le gonne più corte. È successo lentamente, ma senza battute d'arresto, nonostante le autorità facessero fioccare multe e malmenassero i trasgressori della moralità". L'iconografia classica dell'Iran è quella di vecchi e severi mullah. Ora scopriamo, anche grazie al suo libro, una società composta per due terzi da persone che hanno meno di 30 anni. Questo fatto che impatto avrà? "È una parte di popolazione che eserciterà molta pressione sul regime. Sono giovani generalmente bene istruiti, che hanno grandi aspettative e non accetteranno di vivere con le limitazioni che hanno conosciuto i loro genitori. Il regime, certo, è molto bravo nel respingere le pressioni, ma l'apatia covata negli anni è diventata insofferenza e poi rabbia, e alla fine potrebbe trasformarsi in rivoluzione. Certo, la gente è delusa dalle rivoluzioni che ha già vissuto, come quella di Khomeini nel '79, ma oggi la situazione ricorda gli ultimi giorni dell'Unione sovietica, quando l'ideologia del comunismo era ormai erosa e bastò poco per mandare in frantumi il castello che reggeva". Ci racconta il "gioco a guardia e ladri" tra la "polizia morale" e le ragazze con i tacchi da dieci centimetri? "La polizia morale sorveglia il comportamento dei cittadini, verificandone la conformità ai precetti islamici. Per le donne, che vestano e si comportino in maniera decorosa, per gli uomini, che non bevano e non ascoltino musica proibita. Spesso gli agenti credono nella bontà del loro ruolo, ma ce ne sono anche di furfanti, che non aspettano altro che essere corrotti per chiudere un occhio. Li ho visti spesso in azione, come la volta in cui picchiarono il fidanzato di una ragazza perché andava in giro mano nella mano con lei. Io stessa sono stata detenuta per varie ore perché una sera mi fermarono in auto, in giro per lavoro, assieme al mio fotografo. Maschio". Eppure, nonostante il velo, o forse proprio per quello, lei descrive un Iran "ossessionato dal sesso come chi fa la dieta è ossessionato dal cibo". "È nella natura umana essere spinti verso ciò che è proibito. Il regime vuole una gioventù pia, che non ceda ad alcuna tentazione e ottiene una reazione opposta, con una promiscuità esibita, barzellette sporche e il sesso sempre al primo posto nelle conversazioni e nei pensieri. Varie volte, gli stessi mullah che mi parlavano della pericolosa deriva dei costumi sociali, mi chiedevano il numero del cellulare per poi chiamarmi e invitarmi a uscire con loro". L'intellettuale islamico Tariq Ramadan ha da poco chiesto una moratoria delle pene corporali nei Paesi in cui vige la sharia: Arabia Saudita, Nigeria e appunto Iran. Ne è mai stata testimone? "Di una decapitazione o di un taglio di una mano no, ma di fustigazioni in pubblico sì: i colpevoli erano stati colti a leggere riviste pornografiche e a bere alcol. Le frustate sono un metodo assai comune per "educare" i giovani, ma poiché il sistema è molto corrotto, se i genitori pagano magari ti picchiano piano o ti fanno tenere la maglia addosso. L'appello di Ramadan è giusto e il problema è reale, anche se lo stesso regime sa che le pene corporali sono un grave imbarazzo a livello internazionale e tende ad applicarle sempre meno". Si è parlato di recente di alcune donne che hanno sfidato la tradizione guidando la preghiera del venerdì. Come dovrebbe cambiare la condizione femminile nel mondo musulmano? "Le donne devono avere accesso all'istruzione ed essere liberate dalla povertà. Soprattutto, devono conquistare la piena uguaglianza che la sharia non prevede. Un fatto che si potrebbe correggere costruendo un sistema democratico nel quale la gente possa votare i propri rappresentanti e ci siano giudici che interpretino la legge religiosa in maniera evoluta. Una strada che il nuovo Afghanistan sta cercando di compiere". I neocon dell'amministrazione Bush, liberamente interpretando quella fame di libertà di cui lei parla nel libro, spingono per un "cambio di regime" a Teheran e non escludono l'opzione militare. Che effetto le fa, da americana-iraniana? "È sconcertante, considerate tutte le persone morte in Iraq senza che si trovasse nemmeno l'ombra di armi di sterminio. Evidentemente la gente negli Stati Uniti non segue le notizie o perlomeno non le associa al governo. A Washington prendono in considerazione tutte le ipotesi, ma nelle loro valutazioni non ha alcuno spazio ciò che gli iraniani davvero provano o vogliono. Anche il discorso di Bush sull'"asse del male", in Iran fece l'effetto opposto: il regime lo usò per compattarsi contro il nemico esterno". Lei ora vive a Beirut. È ottimista riguardo alla cosiddetta "primavera araba"? "È veramente prematuro, e anche un po' irresponsabile, desumere una rinascita democratica da un paio di manifestazioni di piazza. È un segno, c'è la possibilità di un cambiamento, ma potrebbe anche rivelarsi l'inizio di una lunga e tragica instabilità. A Beirut si stava bene, assai meglio che a Teheran, fino a quando non sono ricominciate a esplodere le autobombe. Ora è tornata la paura, più forte che in Iran. Alla fine probabilmente ne sarà valsa la pena, ma ora questa è la situazione. La primavera io la immagino diversa, molto diversa da così".