Sadegh Hedayat
fonte.internet
L'autore che ha rinnovato la letteratura persiana.
dal libro:Civetta Cieca-Tre gocce di sangue
edizione.Feltrinelli-Collana: Le comete


Sadeq Hedayat nacque a Teheran nel 1903. Compì i suoi studi al liceo francese di Teheran, appassionandosi particolarmente alla letteratura francese e interessandosi, come molti intellettuali dell'epoca, alle scienze occulte. Nel 1926, con una borsa di studio, andò in Francia, dove ebbe inizio la sua carriera letteraria. Tornato in patria nel 1930, divenne funzionario della Banca nazionale dell'Iran, ma non riuscì a sopportare a lungo il conformismo dei suoi connazionali e la censura del regime poliziesco di Reza Khan. Abbandonò posto e carriera per dedicarsi allo studio dell'antica lingua persiana, il pahlavi. Per seguire in modo più approfondito questo suo interesse, andò in India nel 1936 e vi rimase per un anno. Subì fatalmente il fascino dell'India e trovò anche, sotto l'influsso del misticismo indù, la forza di reagire alla sua dipendenza dall'oppio. Deciso a vivere in patria, tornò a Teheran con l'intenzione di difendere l'arte del suo tempo. Negli anni quaranta tradusse mirabilmente diverse opere di scrittori europei, in particolare opere di Kafka, Schnitzler e Sartre. Collaborò a numerose riviste letterarie, scrisse saggi sull'evoluzione del persiano e sull'influenza, esercitata su di esso, dall'arabo, dal turco e dall'hindi. Nel 1950 lasciò la patria per Parigi dove morì suicida, mentre il regime feudale imposto dalla famiglia Pahlavi combatteva spietatamente ogni tentativo di introdurre in Iran una cultura moderna e innovatrice.

La forza poetica del narratore fa entrare nella vicenda disperata del vecchio e della fanciulla, dell’uomo prigioniero, dei fiori del convolvolo e della mandragola, dell’incarnazione del passato e della terribile realtà della morte un torrente di fantasia e di poesia. Le opere di un grande autore, tra i più rappresentativi del nostro tempo.

La civetta cieca, scritto nel 1930, pubblicato prima in Francia e poi in Italia, da Feltrinelli, nel 1960, venne salutato come un’opera rivelazione. André Rousseaux, sul "Figaro Litteraire" non esitò a dire che quest’opera poneva Hedayát tra "gli autori più rappresentativi della nostra epoca". Paragonato ad Aurélia di Nerval, a La nausea di Sartre, ma soprattutto alle opere di Kafka, La civetta cieca ha ormai acquisito la dimensione del classico: è un romanzo "kafkiano" che chiede vanamente risposte che nessuno può dare: "né il cielo deserto, né la terra resa muta da coloro che sono privi di ideali" (Pasteur Vallery-Radot). La forza poetica del narratore fa entrare nella vicenda disperata del vecchio e della fanciulla, dell’uomo prigioniero, dei fiori del convolvolo e della mandragola, dell’incarnazione del passato e della terribile realtà della morte un torrente di fantasia e di poesia. Le allucinazioni del romanzo sono state spiegate dai suoi critici come conseguenza dell’intossicazione da oppio, (“Fumai tutta la mia riserva… e mi librai lieve alla ricerca dei miei pensieri), di cui Hedayát fece uso continuo e disperato, almeno fino al suo incontro con la cultura indiana. Ma, certamente, leggendo le opere di Hedayát, si coglie anche il fascino della discendenza dai grandi scrittori persiani che fecero, mille anni fa, della Persia la terra dei poeti. Assieme a La civetta cieca ripubblichiamo anche la raccolta di racconti Tre gocce di sangue (Feltrinelli 1979). Sono i sette racconti più significativi di questo autore, in cui si dispiega maggiormente il connubio tra l’indiscutibile eredità delle tradizioni orientali e gli autori europei degli anni trenta e quaranta, da lui scoperti a Parigi. In più i personaggi di Hedayát risultano emblematici e l’uso dell’oppio, elemento ricorrente in molti racconti, diventa un ponte rituale per introdurre il lettore in una sfera in cui trionfa l’infinito mistero dell’esistenza.

"Un sontuoso tappeto d’arte persiana, ricco di fascino e misteriosi sortilegi." (René Lalou)