Gina Labriola
Due poesie di Gina Labriola
Fonte.Internet è nata a Chiaromonte (Potenza) e si è laureata a Bari in Lettere Classiche. E' vissuta undici anni in Iran dove ha lavorato presso l'Istituto Italiano di Cultura di Teheran quale collaboratrice dell'ISMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente), corrispondente dell'ANSA e lettrice presso l'Università di Teheran. E' visuta poi in Spagna, a Barcellona. Ha insegnato per oltre quindici anni Lingua e Letteratura Italiana presso l'Università di Rennes in Bretagna e attualmente risiede a Parigi. Quando può si trasferisce nella sua casa natale lucana a Chiaromonte, dove i suoi antenati le hanno concesso di trasformare un antichissimo catoio in un grande atelier di pittura su seta. Vi raccoglie i ricordi e i cimeli di tutte le sue patrie, fuse in un unico grande amore: quello della poesia. La sua attività letteraria, ricca e articolata, spazia dalla narrativa alla poesia, dalla traduzione alla critica letteraria, alla pittura su seta. Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue (francese, spagnolo, inglese e persiano ) e hanno riscosso prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Damavand* O Damavand, abbracciami. Triangolo equilatero d'armonia la tua perfezione è l'infinito. Gigante, Signore, affondi il capo nelle nubi dei tuoi pensieri e le cime fedeli dell'Alborz splendido e mite harem di uri ti si inchinano in veli bianchi. O Damavand, il tuo abbraccio è gloria. Fammi entrare nella geometria nelle tue nevi. Abbracciami, Damavand irragiungibile come la faccia del mio Amore immobile che non ha carne nè sensi nè vene. O forse anche tu conosci lo spasimo delle viscere di tutto ciò che non dovrebbe esistere e invece esiste groviglio tuono fumo doglia stortura e non puoi o non vuoi con un boato spaccare il tuo vertice di purezza erompere in fuoco di rivolta molteplicare le stelle con lapilli d'odio sporcare la neve con fumo e cenere. Dicono che emani dall'inferno vapori di zolfo tra le crepe bianche della tua atarassia. O Damavand, se tu fossi un uomo? * Vulcano inattivo presso Teheran alto oltre 5.000 m. Kashàn Davanti a una porta di Kashàn, non so con quale battente bussare: se con quello costruito per mano virile e annunciarmi -maschio- che copran le donne i peccaminosi capelli col velo e si nascondano all'interno dei cortili o con l'altro, dal tocco leggero, e annunciarmi donna tra le donne, e venire con voi intorno al samovar per dire male del maschio e lavare panni e vasellame nella vasca verdastra seduta sui talloni ma qui voglio restare. In questa geometria polverosa di cupole modellate nel kaghèl (1) come forme femminee o bag-ghir (2) come verghe virili nell'unico colore di miele ove si spalanca attonito l'occhio verde di un prato: scaldami al calore del forno all'odore molle del pane come sudore della pelle e riflettere la mia faccia frantumata in un mosaico di specchi, ma qui voglio restare. Io non so se sono una tortora crudele che divora i suoi figli nel nido o un mite falco dalle ali scolorite che cerca rifugio in un muro cadente fra paesaggi sognati di occidente e le acque inventate sull'intonaco tra le facce idiote dell'ultimo Kajar tra le sue sentinelle impotenti e i suoi ambigui cortigiani ma qui voglio restare. Frammento caduto d'intonaco in un giardino nascosto nella casa di Boroujerdì, ma qui voglio restare. Annodatemi in un filo di tappeto, lasciatemi scivolare tra le dita della bambina -uccellino nella gabbia del telaio- e diventare un fiore di lana in un prato sognato nel deserto un petalo con l'odore del gregge ma qui voglio restare. (30 marzo 1973) (1)-Il Kaghèl è un materiale da costruzione: fango e paglia. (2)-Nei villaggi ai margini del deserto, dove spirano venti costanti, i bad-ghir (acchiappa-vento) sono altissimi comignoli costruiti in maniera da creare correnti d'aria nelle case. (da Alveari di specchi, p.170) CommentsNo comments yet
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