Nadèr Naderpùr è nato a Teheran nel 1929, da una famiglia aristocratica (discendente da Nadèr Sciàh). La raffinata cultura dei giovani aristocratici persiani del suo tempo non poteva prescindere da una parallela cultura occidentale, e Naderpùr ebbe una doppia formazione, francese e persiana, alla quale si aggiunse più tardi l’interesse per la lingua e la poesia italiane.
fonte.https://ginalabriola.tripod.com
Gina Labriola e Nadèr Naderpùr nella foto.


Terminati gli studi letterari a Teheran, si trasferì a Parigi e si laureò alla Sorbona in letteratura francese; è uno dei più efficaci traduttori di poeti francesi in persiano.
Più tardi, dopo un lungo soggiorno in Italia, tradusse per la casa editrice Franklin alcuni tra i più importanti poeti italiani (tra gli altri, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Pasolini).
La sua importanza di traduttore e poeta cosmopolita è pari al ruolo che assunse giovanissimo nel campo della poesia persiana. Fu uno dei più efficaci e convinti rappresentanti della nouvelle vague della poesia in Iran che faceva capo al poeta innovatore Nimà Yuscij (1896-1960).
Importanti e significative la posizione civile e le opinioni politiche di Naderpùr : fece parte, giovanissimo, del Tudèh (il partito comunista iraniano), ma ne uscì dopo l’occupazione dell’Azerbagian da parte dell’Unione sovietica nel 1948. Militò nel movimento nazionalista di Mossadeq, il quale, sconfitto e in disparte, resta, in maniera esplicita o allusiva, nell’opera del poeta, il " Gran Vecchio ", un simbolo di indipendenza e di nazionalismo laico.
Nel periodo post-Mossadeq e pre-Khomeinì, nell’epoca Palhavì con le sue luci e le sue ombre, Nadèr esprimeva il malessere di tutti gli intellettuali di formazione europea e di ideali democratici, anche se non poteva prescindere dal consenso per la politica di laicizzazione del paese da parte dello Sciàh.
Nell’epoca dei rubinetti d’oro, conduceva una vita francescana, occupandosi di radio, televisione, riviste letterarie, conferenze, e, naturalmente, di traduzioni e di poesia. Alternando a lunghi periodi di permanenza in Europa è vissuto e ha lavorato a Teheran fino al 1980, quando è partito per un volontario, tristissimo esilio in Francia, preceduto dalla figlia Pupàk.
Nel 1985 inizia per il poeta una nuova fase della vita: si trasferisce negli Stati Uniti, accompagnato dalla giovane moglie Jalèh, e dal 1988 ha insegnato letteratura persiana all’Università di Los Angeles, invitato a convegni, conferenze, dibattiti, seminari, organizzati dalla numerosa colonia di esuli iraniani in America.
Muore nella primavera del 2000. Gli esuli iraniani a Parigi organizzano importanti manifestazioni in suo onore.

Dal cielo alla corda
(Dar assemàn tà rissmàn)
Teheran 1978


E’ seccato il piracanto
e l’alchimia del tempo
ha tramutato il fuoco della profezia
in oro e sangue,
il colore dell’oro e del sangue
ha fatto dimenticare
alle starne canore il profumo dei campi.
Il sole non è più il Cristo della luce.
Tutte le nuvole sono gravide di inverno,
i ruscelli scorrono indifferenti
verso il fiume senza sole
e tutte le strade, nel loro perpetuo cammino
sboccano nella disperazione dei vicoli ciechi.
...............
..............
Il mattino è profeta di dolore
e la notte esegeta della disperazione.
La luce non sa più mostrare il cammino.
Il riflesso degli specchi
ha portato gli occhi delle allodole
verso un’eterna cecità
e l’uomo morso dal serpente
è atterrito dalla corda bianca e nera.
La corda è il serpente
e il serpente è la corda della forca
la forca è il vertice
dove il cielo si annoda alla corda.
E il cielo dorme, e la forca veglia.

O tu, messaggero dell’alba!
Tu solo, fa trasparire la luce
abbi pietà degli alberi
dà coraggio ai fiumi,
che affidino il cuore al calore del sole.

Tu solo puoi spingere le strade
ad oltrepassare il buio dei vicoli ciechi.
offri, tu solo, al cuore dell’uomo tanta chiarezza
che possa accendere ancora in questa notte
la lampada della verità,
tu solo, fa che le mani
possano imparare dalla forma delle foglie
il senso dell’amicizia.

***

Il falso mattino
(da " Sob-e dorugbin ")
Parigi 1982


Stasera la terra non ha più peccati.
L’ascesi bianca della neve
ha nascosto l’eresia degli uomini.
Questa maschera d’argento
sul nero volto della natura
è la menzogna del mondo.
Questa sera il vecchio albero
pensa di essere ancora giovane,
ma quando sorge il sole
si sciolgono i suoi pensieri di neve.
Quale occhio
potrà vedere il volto della verità
che come il sole si nasconde?
Forse verrà la risposta
da un occhio che conosce il pianto.
............
...........

Ah ! Il gallo che aspetta il mattino !
Una favilla non muore
in un batuffolo di cotone.
Ma guarda : il sole è morto
nella bianchezza dell’azzurro.
La magia della neve ha addormentato
gli occhi degli alberi ingenui
ed ha portato via col cavallo della fantasia
nei vecchi giorni
i contadini pazienti che vanno a piedi
verso la città irreale dell’adolescenza.
Ma il cuore della terra è imbevuto
del pianto della pioggia nella notte
e confessa una celata verità.

***

L’indovino
(da " Sob-e dorugbin ")
Parigi 1982


L’alveare del sole si era rovesciato
fuggite da lui le api di luce.
al di là dei prati,
calpestati dal cielo,
erano caduti
i rossi petali del tramonto.

Un vecchio chiromante – il vento –
arrivò da una strada lontana,
avvolto intorno al collo
lo scialle giallo dell’autunno.
Era invitato, quel giorno,
dagli alberi della via
che dal suo lucido responso
volevano conoscere il destino.

Ad ogni passo lo salutava un albero
ogni ramo gli tendeva la mano.
Ad una ad una il vento respinse quelle mani,
poi, come uno zingaro, intonò un canto nostalgico.
Cantò, cantò finche i corvi della sera
evocarono la notte tra i rami degli alberi.
Atterrite da quella voce, caddero le foglie
come se un colpo di fucile
le avesse colpite in cielo, a mille a mille.
Come acqua, sulle foglie scivolò la notte.

Ogni foglia una mano recisa :
il vento chiromante
senza guardare le linee delle palme,
aveva letto il destino di ogni foglia.

(Le poesie di Nadèr Naderpùr sono state tradotte in Italiano da Gina Labriola)